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- Inserito da: Sergio Tatarano
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Questa settimana doveva essere a Francavilla Mina Welby. Mi sembrava una buona occasione per proporre alle istituzioni, alle scuole, ai cittadini, un confronto, per tentare di provocare un dibattito sul tema dell’eutanasia e delle disposizioni di fine vita.
Armato di buona pazienza e cosciente ormai del grado di intolleranza trasversale a certe tematiche, mi sono messo a girare un po’ dappertutto per chiedere ai capi d’istituto delle scuole di presentare ai ragazzi un’iniziativa che fosse più neutrale e meno schierata possibile, assolutamente non pilotata, una conversazione con la vedova o un dibattito al quale invitare un esponente del mondo della Chiesa. Ma non è facile essere accolti negli studi e presentarsi in rappresentanza dell’associazione Coscioni. Quel crocifisso posto sul muro di ogni Istituto mi ha sempre fatto partire con una soggezione che quasi mai era ingiustificata, ma che anzi ha trovato sempre conferma nei fatti, mi ha dato costantemente l’idea di trovarmi dinanzi a qualcuno che in cuor suo, se avesse potuto, mi avrebbe urlato “vade retro, Satana!”, con la croce in mano. Invece, “Le faremo sapere” (un po’ come si fa con quelli che falliscono un colloquio di lavoro) è ciò che tutti costoro mi hanno sempre risposto (e ovviamente non hanno fatto sapere niente a nessuno), animati da una contrarietà antropologica all’educazione ed all’esposizione laica e non faziosa delle tematiche.
Mi chiedo perché ciò accade e non arrivo a nessuna risposta diversa dalla volontà di oscurare il dibattito sui temi che fanno paura. Mi si dirà, “Ma cosa c’entrano i Presidi con i politici?”. La prima reazione che una proposta come la mia suscita in un capo d’istituto è quella secondo cui la rivolta dei genitori sarebbe tale da rovesciare la scuola. E in questo sistema nel quale tutti sono uniti come in un grande girotondo, riuscire ad inserirsi per staccare quelle braccia incollate simbolo di conservazione consapevole, è dura.
Le scuole, luogo di educazione dove dovrebbero crescere le menti di domani, sono in realtà lo specchio della società italiana, allergiche all’idea di dibattito tanto quanto i partiti politici, immobili e che condannano questo Paese all’immobilismo.
Qualcuno mi dirà che da radicale sono vittima di quella sindrome di accerchiamento, di incomprensione che in realtà sarebbe la causa e non la conseguenza dell’impossibilità di essere conosciuti agli altri. Eppure l’esperienza mi dice che vale il contrario: provate ad entrare in una scuola e noterete che in bacheca sono affissi, a decine, pubblicità di convegni sulla famiglia tradizionale che alcuni (chi sa chi) cercano di sfasciare, o sulla via buonista, moralistica e ideologica (unica via che i ragazzi di tutte le generazioni conoscano) per vincere il fenomeno della droga o sul concetto indiscutibile di indisponibilità del bene “vita”.
Allora, qual è la soluzione? Beh, mi sembra evidente che la società si configura oggi sempre più come il prodotto di un luogo dove vige l'incapacità di far circolare proposte alternative al regime. Il regime ci impone una sola strada fintamente alternativa: quella del settarismo istituzionalizzato del quale alcuni compagni della sinistra si considerano fieri sostenitori. Perché questa società si nutre dei settari che “con il fascista (ma nemmeno col semplice avversario) non ci si confronta”, ed ha bisogno di mantenere intatto ogni rapporto di forza, culturale (ecco perché i digiuni e gli imbavagliamenti ed ecco perché la politica del “dentro tutti tranne”).
Non possiamo rinunciare allora a proporre idee e strade di alternativa reale al regime clericale, dove clericale vuol dire imposto dall’alto e allergico a tutto ciò che coincide con la libera informazione, il conoscere per deliberare. Ecco perché è necessario incalzare i partiti, democratici e non, e costringerli ancora una volta a non sottrarsi al dialogo e a non farci mettere nell’angolino delle iniziative di parte senza contraddittorio; ecco perché è indispensabile incunearsi nel confronto morto tra chi grida per conservare e spartire, ecco perché bisogna portare dappertutto, a partire dalle scuole, il dibattito relativo a ciò su cui non si può dibattere. Droga e sesso in primis.