- In:
- Inserito da: Sergio Tatarano
- Commenti: 0
Questa la domanda che Giavazzi e Alesina si sono posti nel loro ultimo libro. In realtà la loro è una affermazione vera e propria o, meglio, una conclusione preceduta da una lunga analisi nella quale si propongono di convincere il pubblico che l’apertura del mercato è una realtà tutt’altro che produttrice di ingiustizia.
Oggi quale posto hanno vecchi stereotipi di cosiddetta sinistra come la lotta alla meritocrazia, come l’assistenzialismo, come la contrarietà ad ogni forma di apertura alla concorrenza? I due economisti portano l’esempio dei medicinali da banco il cui prezzo, in seguito alla liberalizzazione voluta da Bersani, è sceso del 20-30%, consentendo allo stesso tempo ad un numero notevole di laureati di inserirsi in un mercato che prima era chiuso.
Soprattutto i più giovani possono sulla loro pelle confermare quale beneficio è stato creato in un mercato come quello telefonico (pensate se ci fosse solo la telecom)o quello aereo, in cui le compagnie come Ryanair e Easy-jet hanno sbaragliato il campo e sono divenute lo strumento grazie al quale oggi si può andare e tornare da Brindisi a Londra con poche decine di euro. Due estati fa sono andato a Stoccolma con meno di 100 euro; sul mio aereo viaggiava anche una giovane famiglia evidentemente modesta, che aveva trascorso la notte in aeroporto. Allora l’esistenza di queste compagnie si può dire che non sia dalla parte dei più poveri?
E Alitalia? Si regge sui soldi degli Italiani e ormai con essa nessuno ci viaggia più.
Perché questo sistema regga è indispensabile il lavoro delle autorità garanti, organi indipendenti tenute a vigilare che il mercato non venga falsato a danno di chi se ne serve.
La meritocrazia è un concetto di destra, dove per destra intendiamo conservatore, o di sinistra, ossia dalla parte del progresso, della giustizia? Beh, penso che se tanti settori del mondo del lavoro non funzionano lo si deve al fatto che si è trattati tutti allo stesso modo, chi rende e chi no, chi si impegna e chi no.
Prendete la scuola: cosa succederebbe se gli insegnanti venissero retribuiti sulla base del loro rendimento? Oggi quelli che lavorano bene vengono inghiottiti dai nullafacenti. Licenziare un fannullone è un atto di giustizia tanto quanto lo è assumere un giovane brillante senza occupazione. La Danimarca resta il modello per tutta l’Europa in quanto permette di licenziare senza che però lo Stato lasci il lavoratore con le spalle scoperte, dandogli un sussidio di disoccupazione che può durare fino a tre anni, nei quali lo stesso lavoratore è tenuto a cercare( e a non rifiutare) un’altra occupazione. Alla legge 30, che ha creato tre milioni di nuovi posti, andrebbe affiancata allora una riforma proprio nel senso della creazione degli ammortizzatori sociali.
E le pensioni? Si può pensare di smettere di lavorare a 57 anni quando l’età media arriva quasi a 90? Cosa è se non ideologia quella che impedisce di parlare di innalzamento dell’età pensionabile? D’altro canto, perché non si pensa ad un ribaltamento del concetto di pensione, da obbligo a facoltà? Perché si deve costringere un lavoratore a lasciare il posto una volta che ha raggiunto i 65 anni, obbligandolo a scegliere tra la depressione e il lavoro nero?
E, ancora, perché le donne prima degli uomini, condannandole al lavoro a casa, alla dimensione di baby sitter e badanti?
Insomma: il liberismo, inteso come superamento ed abbattimento delle lobby e dei monopoli(che significano ricchezza per pochi e servizi resi alle condizioni svantaggiose indicate da quei pochi), non può che essere una scelta votata alla creazione di nuovi posti di lavoro e nello stesso tempo all’abbassamento dei costi di tutti i servizi per coloro che se ne servono. Dunque non si può che concordare con le conclusioni dei due economisti.