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- Inserito da: Sergio Tatarano
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Se gli interlocutori sulla giustizia sono Lega e Di Pietro, accade che il livello del dibattito è quello che è. E non è un caso che i due partiti che hanno aumentato il loro bottino elettorale siano stati proprio quei due che non hanno semplicemente lottato contro l’indulto, ma hanno anche avuto modo di sottolinearne i presunti “effetti devastanti”. Ecco allora che oggi le uniche voci che si sentono sull’argomento sono queste: da un lato le ronde leghiste, qualcosa di aberrante rispetto alla quale davvero credo sia giunto il momento di dire due parole. Perfino Di Pietro, che parrebbe l’unico accreditato a pronunciarsi su giustizia e sicurezza, la trova una soluzione fascistoide. Prevedere che privati cittadini possano circolare armati (non si capisce bene con quali compiti) per farsi “giustizia” da soli è un concetto costituzionalmente e umanamente devastante. Certo, se nessuno sa proporre una soluzione valida come alternativa, va a finire che gli elettori preferiscano i duri e puri a coloro che balbettano fermezza e non sanno motivare un provvedimento doveroso come l’indulto.
Da parte sua, Tonino Di Pietro ha formulato un paio di richieste risibili, rispetto alle quali mi piacerebbe sentire il parere degli attenti analisti locali ( evidentemente contenti di vedersi rappresentati nel "loro" PD da una linea che sulla giustizia è a dir poco indecente, contenti dell’improvvisazione cui si lascia la strada politica della sinistra venuta fuori dalle elezioni, probabilmente scontenti che Di Pietro si sia già allontanato da Veltroni; e il gruppo unico?!). Le più preoccupanti proposte sono la eliminazione di un grado del processo e l’immediata applicabilità della pena dopo la sentenza di primo grado.
In un Paese come il nostro, dove quasi la metà dei detenuti è ancora in attesa di giudizio, dove è possibile stare fino a nove anni in carcere in attesa di una sentenza definitiva, c’è chi (a sinistra, per carità!) ha il coraggio di usare questi argomenti e rilanciare la “certezza della pena”.
Ecco, dinanzi a nove milioni di processi non celebrati, c’è chi non sa sostenere la certezza della giustizia mancante, una giustizia per la quale al 90% non si scoprirà mai l’identità di chi ha commesso un delitto contro il patrimonio. La giustizia deve essere una priorità, il rispetto dei principi dello stato di diritto, la stella polare di una forza che non voglia farsi trascinare sul terreno del demagogico scontro antirom, in ragione del quale la responsabilità penale smette di essere personale e diventa collettiva, di un’intera etnia.
Per questa ragione, si pone(va) come necessaria, accanto all’indulto, una amnistia in grado di consentire uno snellimento della disastrosa situazione di collasso della nostra giustizia come anche una ridiscussione dell’obbligatorietà dell’azione penale (e magari non dimenticare neppure la separazione delle carriere, rispetto alla quale a sinistra c’è più allergia che a destra).